Così parlò… Giuseppe Giavazzi.

Così parlò… Giuseppe Giavazzi.

Gianni De Falco, presidente Ires Campania

 

La fiscalità di vantaggio avvicina il Mezzogiorno al Vietnam? Così parlò Giuseppe Giavazzi in un lungo editoriale sul Corriere della Sera qualche giorno fa, commentato con favore da Vincenzo Visco, che di politiche fiscali qualcosa sa.

Intanto portiamo a casa un risultato che porterà ad una diminuzione del costo del lavoro (seppure per soli tre mesi). Prendiamo atto che quando si parlava di fiscalità di vantaggio se ne parlava come condizione necessaria, seppur non sufficiente, per affrontare alcuni temi e, in particolare, quello della mancanza di occupazione che da sempre caratterizza il Mezzogiorno d’Italia.

Il punto è la quantificazione di questa carenza occupazionale che ha determinato l’esigenza di introdurre un reddito minimo per aiutare gli “ultimi”, quelli che non ce la fanno.

Su ventuno milioni di abitanti e sei milioni di occupati, compresi beninteso i sommersi, si può sostenere che vi sia un’esigenza occupazionale pari a circa tre milioni di posti di lavoro, questa dimensione recupererebbe quel rapporto popolazione/occupati più vicino alle realtà a sviluppo compiuto che non necessitano di spingere i nostri giovani all’emigrazione.

La principale risposta a questa esigenza non può non provenire che dal manifatturiero e dal turismo, in maniera più contenuta. Un settore, quello del turismo assai sottodimensionato, con un numero di presenze equivalenti (per tutto il Mezzogiorno) alle sole presenze nel Veneto.

La risposta dell’imprenditoria meridionale è stata assai contenuta, e compreso il settore edile e delle costruzioni, negli ultimi anni si sono creati poco più di un milione di posti di lavoro, quando se ne attendevano giusto il doppio.

Questa condizione è ferma da circa dieci anni, ed è la dimostrazione che l’imprenditoria locale ha fatto già il massimo di cui era capace e che l’incremento potrà realizzarsi soltanto attraverso investimenti provenienti dall’esterno.

In questo modo, tra l’altro, tutti i paesi che hanno avuto una accelerazione dei processi di sviluppo sono riusciti ad incrementare la forza lavoro, in Europa l’Irlanda e poi la Germania, subito dopo la riunificazione (ad oggi trent’anni), così i nuovi paesi dell’Est che hanno aderito all’UE. Ma queste politiche hanno sospinto le fasi di sviluppo di Cina e India. In questo caso anche con il contributo di nostre imprese che hanno de localizzato in quei territori.

L’attrazione, però, è un processo complicatissimo perché chi deve investire cerca aree che offrano favorevoli condizioni e possibilità di avere utili. Tra le condizioni minime quelle logistiche con la possibilità di raggiungere facilmente, via aria, via terra e via mare, gli eventuali stabilimenti. In una parola si cerca una buona infrastrutturazione. Quella richiesta a gran voce nel Mezzogiorno.

Ciò che il ministro Boccia definisce “perequazione infrastrutturale” e che dovrebbe essere una delle condizioni per procedere all’adesione alla richiesta delle regioni nordiste (e non solo)  ad una maggiore autonomia differenziata.

Esiste un’altra condizione che viene sistematicamente richiesta: il controllo della criminalità organizzata. Gli imprenditori vogliono rischiare il capitale non la vita.

Queste condizioni richiedono investimenti importanti estremamente difficili da assicurare e, soprattutto, in tempi contenuti. Per questo andrebbe ripensata l’organizzazione di aree limitate ma in grado di trainare aree più ampie, penso alle Zone Economiche Speciali (ZES). Facilmente controllabili da infiltrazioni, vicino a nodi logistici facilmente raggiungibili. L’investitore, confrontando anche i vantaggi che ogni area potrebbe proporre, sceglierà quella che offre un costo del lavoro più basso e una tassazione sugli utili più contenuta.

In questa logica si inserisce la fiscalità di vantaggio che, però, parte con un peccato originale. Infatti, sembra pensata più per le imprese già collocate nel Mezzogiorno che per quelle che dovrebbero insediarsi. Tuttavia la situazione è talmente complicata che, in questo momento, aiutare le aziende esistenti a non chiudere è già opera meritoria.

Da questa considerazione, credo, nasca la critica sollevata da Giavazzi preoccupato che si sostengano imprese assistite che continuano a stare sul mercato, con produttività bassa, con consistenti costi per la collettività, che con altri strumenti (credito d’imposta) potrebbero essere minori. In questo modo aumenta il rischio che l’UE possa non rinnovare questi strumenti ritenendoli aiuti di Stato.

La fiscalità compensativa, invece, dovrebbe servire ad attrarre nuovi investimenti.

I rischi ci sono ma non si può dimenticare che il Mezzogiorno ha bisogno di attrarre investimenti e che questa operazione, così complessa, potrà avere un qualche successo soltanto attuando tutte le condizioni necessarie. Compresa una politica di promozione territoriale che possa far capire a tutti (Europa e Mondo) che il Sud è la “nuova frontiera” del Paese, alla quale dovrebbero credere per primi Italia e Nord-Italia, cosa per la verità che non pare stia avvenendo.

Atteggiamento misurabile sugli atteggiamenti verso il Recovery Plan che andrebbe prevalentemente (non esclusivamente) investito al Sud e, invece, la sinistra emiliana romagnola e toscana e la destra leghista lombardo-veneta attraverso le loro posizioni dominanti cercano in tutti i modi di dirottaresull’alta velocità Bergamo – San Candido, o per impegnare per le Olimpiadi invernali di Milano – Cortina, che avrebbero dovuto essere a costo zero a carico della fiscalità generale.

A Giavazzi ricorderei che se, come lui sostiene, la fiscalità di vantaggio avvicina il Mezzogiorno al Vietnam non dovrebbe dimenticare che oggi il Sud, per reddito pro-capite, assomiglia più alla Grecia che alla Brianza, quindi, credo sia giusto, fare e sperimentare qualcosa.

Per esempio, applicare la Fiscalità di vantaggio.