Fiscalità di vantaggio per risarcire il Sud dalla sottrazione di risorse.

Fiscalità di vantaggio per risarcire il Sud dalla sottrazione di risorse.

Gianni De Falco, presidente Ires Campania

 

L’Europa si è resa conto che i Paesi sono due. Uno, il Sud, con un reddito medio annuo procapite di 14mila euro e un altro, il Nord, con un reddito medio procapite di 36mila euro anno. Per questo motivo ha approvato la fiscalità di vantaggio, che chiamerei meglio “compensativa”, perché in realtà non offre alcun vantaggio, piuttosto cerca di compensare i tanti svantaggi che ha chi investe nel Mezzogiorno e che finora sono stati a carico delle imprese del Sud.

Dalla minore infrastrutturazione al costo del denaro mediamente più alto, dalla presenza di criminalità organizzata, costo occulto che grava con il pizzo, con la pressione per assunzioni di personale “raccomandato” e poco o per nulla formato che, spesso, le aziende devono tenere  per non essere sottoposte a minacce e o attentati. Ancora capita di saper dei vigne divelte o tagliate o di capannoni bruciati.

Bruxelles si è convinta e “ha detto si” ai primi tre mesi di decontribuzione per il 30% del cuneo fiscale, che diminuirà il costo del lavoro, punto più punto meno, del 10%. Il costo complessivo di questa operazione si aggira attorno al miliardo e mezzo fino al 31 dicembre.

La riduzione del cuneo fiscale è uno strumento molto interessante, che certamente consentirà alle imprese operanti di resistere alla epidemia di Covid19, che evidentemente ha maggiore forza distruttiva rispetto alle attività più fragili, in realtà poco sviluppate. Una forma di aiuto che si può assimilare a quello che si dà con la CIG a chi perde il lavoro.

La cosa più probabile è però che questa normativa, peraltro estremamente costosa, abbia difficoltà ad essere confermata oltre il 31 dicembre (nessun 32 dicembre, per intenderci), scadenza fissata a questo momento, per due motivi: uno, per il costo particolarmente rilevante e, due, per l’opposizione dell’UE, che potrebbe vedere una forma di aiuto di Stato in tale diminuzione di tassazione sul lavoro, differente tra una parte e l’altra del Paese.

C’è chi sostiene che un vantaggio come questo potrebbe portare a ocalizzazioni di attività più adatte a Paesi in via di sviluppo, nelle quali il costo del lavoro è particolarmente basso. Per questo si parla di via “vietnamita”.

Ma al di là di queste motivazioni, che possono essere superate considerando che non si tratta, come prima abbiamo affermato, di vantaggio ma di compensazione, anche il lessico è fondamentale per capire meglio il concetto, il tema è che con questa agevolazione riportiamo le imprese esistenti, e quelle che dovessero arrivare, nelle stesse condizioni di quelle che sono localizzate in altre parti del Paese, che non soffrono della mancata infrastrutturazione, né di un costo del denaro più elevato, né di interruzioni frequenti di energia elettrica, né di un diffuso digital divide.

Ma il tema che resta assolutamente inevaso è come attrarre investimenti dall’esterno dell’area (tema trattato anche in precedenti articoli) unica condizione possibile per creare tre milioni di nuovi occupati che, come afferma la Svimez, servono per riportare il Mezzogiorno a un repporto popolazione/occupati analogo a quello della realtà a sviluppo compiuto come l’Emilia Romagna.

Bene se si vuole accelerare il processo ed evitare lo spopolamento di città e campagne (soprattutto), che già dal 1860 è in corso, se si pensa che in quegli anni Milano aveva 196mila abitanti e Napoli 447mila, bisogna accelerare il processo di attrazione di investimenti.

E allora bisogna lavorare su più fronti e in modo sistemico. Bene la fiscalità compensativa, ma poiché è complicato che venga approvata per tutto il territorio meridionale, a parte il costo enorme e probabilmente non sopportabile, proponiamola dal 1° gennaio 2021 (il 32 dicembre) limitata alle sole Zes e alle nuove attività.

Capisco che le nuove attività pagano meno in termini di consenso, rispetto alla platea degli imprenditori esistenti, ma a noi interessano i nuovi investimenti. Interventi che difficilmente arriveranno nelle Zes per una carenza di spinta politica che non consente di superare i molteplici ostacoli amministrativi.

La gente non emigra se ha una possibilità di lavoro nella terra nativa. Tale affermazione non vuole negare il valore della mobilità bidirezionale, che arricchisce i territori che ne godono. E certamente non sarà la sola fiscalità di vantaggio o compensativa a far decidere i grandi investitori internazionali a creare fabbriche, imprese e occupazione. L’obiettivo dello sviluppo accelerato del Sud è il primo obiettivo del Paese. Infatti, il parere approvato dalla VI Commissione permanente del Senato sull’atto 572 così recita: «La riduzione delle disuguaglianze è un obiettivo che sormonta e prevale sugli altri, anche perché la stessa disuguaglianza è un freno allo sviluppo, impoverisce sempre di più gli stessi ceti sociali e provoca scarsa fiducia nel futuro, emigrazione e denatalità».

Bisogna allora completare il processo facendo partire veramente le Zes, che essendo in zone portuali potrebbero valorizzare la vocazione mediterranea del Paese, resa sempre più importante dal raddoppio del Canale di Suez. Varando una fiscalità più contenuta per gli utili degli investimenti che dovessero arrivare, investendo pesantemente sulla sicurezza e l’infrastrutturazione delle stesse Zes. Evitando misure bandiera come quella della defiscalizzazione degli oneri sociali per le donne che, in assenza di creazione di nuovi posti di lavoro, non fanno altro che smarcare il mercato del lavoro maschile.

Lo sviluppo del Mezzogiorno non è mai arrivato perche gli interventi non sono stati sistemici ma spot. Sarebbe anche l’ora di cambiare registro.