Dal Titolo V alla terza Camera, e alla confusione totale.

Dal Titolo V alla terza Camera, e alla confusione totale.

Gianni De Falco, presidente Ires Campania

 

camera-dei-deputatiIl conflitto/rapporto Stato Regioni continua ad evolversi. Adesso sono diventati tutti più furbi e le decisioni più difficili vogliono che le prendano altri. Allungando, con questa manfrina, i tempi di realizzazione di quello che sarebbe opportuno. I ritardi si stanno così tanto accumulando che, per esempio, i medici piemontesi si esprimono sulle esigenze del territorio con un appello drammatico del tipo «chiudete o non garantiamo più la sanità». Altro che Ippocrate.

In realtà non si capisce perché quando ci sono da prendere decisioni vantaggiose per la gente compete alle Regioni e quando, invece, si tratta di decisioni contestabili spetta al Governo centrale.

Nessuno pensa che la situazione sia semplice, ma è proprio nei momenti difficili che vengono fuori tutti gli stress: da quelli istituzionali conseguenti alle modifiche del Titolo V della Costituzione, a quelli relativi ad un Paese duale che nelle tragedie, come quella che stiamo vivendo, dimostra tutta la sua debolezza, fino alla realtà di rapporti di forza tra territori che non vengono sanati da un coordinamento centrale.

 

 

E la situazione continua in un senso inimmaginabile. Perché tanta è diventata la potenza delle Regioni che il Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle più recenti dichiarazioni alla Camera e al Senato, non fa riferimento ad un preventivo assenso del Parlamento (come costituzionalmente previsto), ma addirittura della Conferenza Stato Regioni, una terza “camera” che si era temuto avesse un potere usurpato, ma che ora viene legittimata e mette in discussione l’assetto costituzionale del Paese.

Peraltro in tale Conferenza il rapporto dei poteri non è più tra forze di maggioranza e di opposizione ma, in un rapporto incestuoso, tra il gruppo di potere della sinistra tosco-emiliana e la destra leghista lombardo veneta. Mi pare che ci voglia una presa di posizione netta, perché l’esigenza di ritornare ad un assetto costituzionale è prevalente rispetto alla ricerca di un consenso a tutti i costi, magari per far sopravvivere il Governo oltre ogni logica.

I temi sui quali si deve decidere sono quelli che si sono già presentati precedentemente:

-  il primo, riguarda i tempi delle chiusure, se generalizzate come chiederebbero Lombardia in testa, ma praticamente le regioni del nord con la Campania (accostare la Campania alle regioni del nord renderà felice il presidente De Luca?) o invece articolate per regioni, o addirittura per aree, in base all’indice RT[1] (Indice di Trasmissibilità del coronavirus) di ciascuno, come pare si stia decidendo.

Già una prima volta si è avuto un approccio sbagliato, quello di considerare Bergamo o il Lodigiano come realtà simili al paesino dell’interno o all’isola meno collegata. La prima decisione di ricorrere al lockdown, assolutamente generalizzato, è stato un errore che ha penalizzato territori che potevano essere salvati, visto che avevano un numero di casi molto contenuti. E salvare alcuni territori dal blocco significava evitare perdite all’economia nazionale in termini di crescita del Pil (o almeno per la sua tenuta), ma anche avere meno costi per i ristori.

Ma anche chiudere e aprire, in modo elastico, in base a dei parametri noti, significa spingere le Regioni ad intervenire con molti tamponi, per isolare i positivi asintomatici. Perché se le regioni faranno tamponi generalizzati, come è stato fatto in Cina, Corea, Taiwan, Singapore e Giappone cercheranno gli untori inconsapevoli, che stanno spargendo il virus nella società costringendoci poi ad un blocco generalizzato. Ma in realtà stiamo imparando tutti come contrastare questa epidemia, compreso il Governo nazionale ed i venti capetti (Presidenti) di regione. E ovviamente gli errori che si commettono hanno un prezzo.

-  Il secondo aspetto, riguarda il fatto che la crisi non colpisce nello stesso modo in tutti i posti, al Sud per esempio, per quanto attiene la scuola colpisce di più. Perché si chiude intanto prima, come si è visto (Campania e Puglia), perché i sistemi sono più deboli e le infrastrutture meno evolute, in termini di edilizia scolastica, per esempio, ma anche di servizi, come scuolabus o mense scolastiche, hanno una sola via di fuga quella che avevano i nostri antenati del seicento: il blocco di tutte le attività.

Colpisce di più perché la cosiddetta Didattica a distanza, DAD, non è possibile se lo studente (e la sua famiglia) non ha i mezzi hardware che servono e se non vi è una connessione adeguata, cose che mancano al Sud. Colpisce anche di più dal punto di vista economico, perché è più probabile che una famiglia dove lavora una sola persona rimanga senza un emolumento. Altrove magari al fianco al padre che lavora al bar c’è la moglie che lavora al Comune. E se il primo va in Cassa integrazione con il salario decurtato, la moglie continua a percepire uno stipendio pieno.

Così come avere un monte pensioni più elevato nei territori, perché coloro che invecchiano sono usciti dal mondo del lavoro (dove il lavoro c’è, al Nord) e hanno una pensione dignitosa e non quella minima (dove il lavoro non c’è, al Sud), questa condizione aiuta a sopravvivere nei momenti di maggiore difficoltà conseguenti alle chiusure generalizzate. Così come si è dimostrato durante la prima fase della crisi pandemica.

Ma poi è evidente che le realtà più povere hanno anche minore accumulazione da utilizzare quando arriva l’inverno, e non per essere state cicale ma per essere povere formiche che non hanno potuto mettere da parte nulla. Un Paese duale è un paese più fragile.

Forse sarebbe bene che ci convincessimo tutti di questa evidenza e che gli interventi fossero differenziati e non generalizzati, in ragione di una evoluzione dell’epidemia così variegata.



[1] Trattandosi di una stima matematica, l’indice Rt presenta diversi limiti. La prima criticità che può essere riscontrata è il fatto che basandosi sull’acquisizione dei dati rispetto ai giorni precedenti, eventuali focolai sporadici registrati in zone con una bassa densità di popolazione possono far schizzare questo indice, nonostante i casi di infezione siano tenuti sotto controllo. Il secondo limite è che questa cifra viene calcolata unicamente tenendo in considerazione solo i casi sintomatici, come riporta l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Questo criterio poteva essere valido solamente nella fase iniziale della pandemia quando tutte le nuovo diagnosi erano accompagnate anche dalla manifestazione dei sintomi, ad oggi però la maggior parte delle persone positive risulta essere asintomatica o con sintomi molto lievi.