Il contributo di Raniero Panzieri al rinnovamento del sindacato

Il contributo di Raniero Panzieri al rinnovamento del sindacato

Vincenzo Esposito per gentile concessione www.vincenzoesposito.org

 

panzieri sfondoRaniero Panzieri, con la fondazione dei Quaderni Rossi, e in piena continuità con la sua direzione di Mondo Operaio, opera un lavoro di profondo rinnovamento della cultura socialista a partire dalla rottura radicale con la concezione maggioritaria del marxismo – caratterizzato da una lettura di Marx storicistica, affermatasi in Italia attraverso l’interpretazione data dalla triade Gentile-Labriola-Croce, fatta propria dal Pci e da una parte consistente del Psi nenniano –, e teorizza un ritorno all’approccio sociologico del Marx delle origini: «il marxismo – quello della maturità di Marx – nasce come sociologia; il “Capitale”, in quanto critica dell’economia, che cosa è se non un abbozzo di sociologia? […] Io credo sia facile sostenere che una visione della sociologia come scienza politica è un aspetto fondamentale del marxismo; se si deve dare una definizione generale del marxismo direi che è proprio questa: una sociologia concepita come scienza politica, come scienza della rivoluzione» quindi contro la visione dogmatica prevalente del marxismo Panzieri riparte dal Marx del conflitto Capitale – Lavoro e dallo studio del rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto e sull’uso non neutrale della scienza, della tecnica e, in particolare, delle macchine nel processo produttivo.

L’altro elemento fondante del pensiero di Raniero Panzieri, a mio avviso, è la rottura sostanziale con il leninismo, pur mantenendo un’adesione formale allo stesso, «Panzieri rifiuta la leninistica subordinazione della classe al partito e la divisione tra politica e economia» ritornando al tema a lui caro dell’autonomia del movimento operaio e della costruzione morandiana della politica unitaria.

La critica dell’esperienza “socialista” sovietica e della politica dei partiti della sinistra nei confronti del capitalismo lo porta a teorizzare un ritorno al pensiero marxiano, che raggiunge il suo apice con lo studio “Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo” in cui approfondisce il rapporto tra lavoro vivo e macchine, introduce la categoria del neocapitalismo, neocapitalismo che contraddice l’analisi classica della “legge sulla caduta tendenziale del saggio del profitto” mostrando una sua propria inedita vitalità.

Partendo dall’idea dell’autonomia socialista, tema che sarà sempre centrale nel suo pensiero, il passaggio logico successivo è il ritorno alla fabbrica, allo studio dell’organizzazione del lavoro e alle forme in cui si esprime il conflitto di classe sui luoghi di lavoro.

Raniero Panzieri, scrive che per comprendere le tendenze del neocapitalismo, è necessario ritornare a una concezione scientifica del marxismo, al suo carattere originario di sociologia, rileggendo il conflitto tra capitale e lavoro che si sviluppa in fabbrica a partire dall’autonomia della classe: «Il fatto di trattare la forza lavoro soltanto come elemento del capitale, secondo Marx, provoca in linea di principio dal punto di vista teorico una limitazione e anche una deformazione interna al sistema che si costruisce. Quindi per Marx l’analisi sociologica socialista (intesa come scienza politica, perché è un’osservazione che pretende di superare questa unilateralità e di cogliere la realtà sociale nella sua interezza) è caratterizzata dalla considerazione specifica delle due classi che la costituiscono. Ancora sottolineo il carattere sociologico del pensiero di Marx da questo punto di vista, che rifiuta la  individuazione della classe operaia a partire dal movimento del capitale, cioè afferma che non è possibile risalire dal movimento del capitale automaticamente allo studio della classe operaia: la  classe operaia sia che operi come elemento conflittuale,  e quindi capitalistico, sia come elemento antagonistico, e quindi anticapitalistico, esige una osservazione scientifica assolutamente a parte.

Quindi credo che da questo punto di vista la fine della sociologia nella tradizione marxista sia un indice d’involuzione del pensiero marxista». 

Raniero Panzieri ritiene che lo strumento centrale per ricostruire un punto di vista di classe sia l’uso socialista dell’inchiesta operaia, l’unico strumento efficace per studiare “il rapporto tra conflitto e antagonismo”, inchiesta che si svilupperà nei vari numeri di Quaderni Rossi.

L’impegno di Raniero Panzieri si focalizza, in particolare sul rapporto tra avanguardie e masse e tra classe e partito, rapporto che intende studiare con le sue ipotesi «sull’inchiesta», purtroppo non potrà sviluppare compiutamente la sua ricerca perché, nell’ottobre del 1964, muore prematuramente ad appena 43 anni.

L’elaborazione teorica di Raniero Panzieri è stato un fiume carsico che ha attraversato il movimento sindacale in profondità contribuendo non poco, a mio avviso, al suo rinnovamento.

Ritengo che il “laboratorio torinese” messo in piedi da Raniero Panzieri – i rapporti con pezzi importanti della sinistra sindacale e pezzi del Psi e del Pci – nel primo numero di Quaderni Rossi scrivono, tra gli altri, Vittorio Foa, Sergio Garavini, Emilio Pugno, Giovanni Alasia – ha inciso non poco sul rapporto tra le organizzazioni sindacali e le lotte dei lavoratori.

Il sindacato dove emerge con maggiore evidenza il lavoro fatto dal fiume carsico è quello dei metalmeccanici.

Il primo elemento che balza agli occhi è il passaggio dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali – emanazioni sindacali sui luoghi di lavoro – ai Consigli di Fabbrica – i Consigli di Fabbrica sono, invece, espressione dei lavoratori nel sindacato – passaggio che ha avviato un processo di unità sindacale che è sfociato nella nascita della FLM, l’organizzazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici. 

La rivoluzione del Sindacato dei Consigli è anche un effetto del lavoro di costruzione, nei luoghi di lavoro, della presenza organizzata dei gruppi di inchiesta che ruotavano intorno ai Quaderni Rossi e del lavoro di rinnovamento del pensiero marxista, con la riproposizione al centro dell’iniziativa politica della classe operaia, portato avanti da Raniero Panzieri.

Aver posto al centro della sua propria elaborazione politica il conflitto tra lavoro e capitale, l’autonomia del movimento operaio e la costruzione di una politica unitaria – in continuità con il suo Rodolfo Morandi – per la ricomposizione della classe, ha contribuito alla sedimentazione di una cultura nuova che, successivamente, ha inciso profondamente sul rinnovamento delle organizzazioni sindacali.

Un elemento che non va sottovalutato, per cogliere appieno il contributo di Panzieri al rinnovamento del sindacato, è il forte legame che egli mantiene con numerosi militanti del Psi e della Fiom anche dopo la sua rottura con il Psi, rapporto che contribuirà a creare un gruppo dirigente sensibile alle tematiche della democrazia diretta e dell’unità della classe operaia.

Le sue analisi troveranno uno sbocco e una conferma significativa nel ciclo di lotte partito alla fine degli anni Sessanta e proseguite fino a metà degli anni Settanta, il cui sbocco naturale sarà un profondo rinnovamento del sindacato che porterà alla nascita delle varie Federazioni unitarie e all’emergere di nuovi gruppi dirigenti.

Questo processo di rinnovamento è favorito dall’osmosi che si crea tra i giovani militanti influenzati dalla scuola di Raniero Panzieri e del gruppo promotore dei Quaderni Rossi e la nuova leva di militanti sindacali: molti giovani, anche provenienti dai movimenti studenteschi, che entreranno nelle organizzazioni sindacali si sono formati anche grazie all’insegnamento di Raniero Panzieri.

Un altro elemento di rinnovamento da non sottovalutare è la continuazione della sua ricerca di una sociologia marxista con il lavoro di ricerca-intervento portato avanti da studiosi come Pino Ferraris, Vittorio Reiser e altri dentro il sindacato, in primo luogo la Fiom e, successivamente, la FLM.

Un’altra influenza del pensiero di Raniero Panzieri, interpretato, a mio avviso, in modo erroneo,  è riscontrabile in una tendenza affermatasi, in particolare nella sinistra Cisl e in pezzi della sinistra della Cgil, al cosiddetto pansindacalismo, dico erronea interpretazione perché l’analisi panzieriana reputa immaturo affrontare il tema del rapporto classe-partito perché il movimento operaio è ancora egemonizzato da una visione, a suo avviso arretrata, della realtà politica e sociale italiana portata avanti dal Psi e dal Pci che non hanno analizzato la nuova realtà del neocapitalismo e portato avanti a sufficienza una critica radicale all’esperienza sovietica e allo stalinismo, inoltre in Panzieri la democrazia diretta va sviluppata all’interno del quadro costituzionale nella logica della ricomposizione unitaria della classe, tra l’altro è proprio sulla questione del partito che avviene la rottura tra il gruppo di Panzieri, Reiser, Salvati e altri e il gruppo di Tronti, Arquati, Negri e Asor Rosa che, in una logica leninista, teorizza l’attualità della costruzione del partito.

Infine non va sottovalutata l’influenza reciproca tra Raniero Panzieri e la “componente socialista” della sinistra sindacale, il cui massimo esponente è stato Vittorio Foa, componete che poi darà vita, insieme ai militanti del Psiup che si schierarono per la continuità, al PdUP, partito in cui si ritroveranno molti dei temi cari a Raniero Panzieri.

Vorrei ricordare cha a Napoli, alla fine degli anni Settanta, fondammo il Centro Raniero Panzieri. 

Si costituirono due gruppi di lavoro, uno di ricerca sulla nuova organizzazione del lavoro nella fabbrica e nei servizi, e uno per la realizzazione di un seminario di riflessione e analisi sul metodo e sui contenuti del lavoro intellettuale. Come Centro Raniero Panzieri, furono organizzati due eventi: un’assemblea operaia, che si tenne il 10 maggio del 1978 al Centro Elisse di via Carducci, che Salvatore Pica, un imprenditore sensibile a quanto d’innovativo accadesse nel mondo della cultura e della comunicazione, ci mise a disposizione. In questa occasione cercammo di mettere insieme, per una riflessione collettiva sul rapporto tra ristrutturazione produttiva e movimento, delegati sindacali, prevalentemente metalmeccanici, provenienti da tutta la regione. La seconda iniziativa fu l’elaborazione di un documento sulle trasformazioni del ciclo produttivo e il controllo operaio elaborato da Rosalba Aponte, Vincenzo Esposito, Alfonso Marino e Giuseppe Zollo e un convegno sul tema che si tenne alla Remington Rand nell’area poi dismessa di viale Maddalena, e vide la presenza, tra gli altri, di Pino Ferraris, prestigioso militante e studioso del movimento operaio. Fu in questa occasione che Ferraris ci definì “un gruppo di pazzi che abita a Napoli pensando di stare a Torino”. Volemmo prenderla come un complimento.

Vorrei terminare queste brevi note su Raniero Panzieri e la sua straordinaria modernità con un ricordo personale: in una giornata di sole, a dicembre a Formia, nella casa di Vittorio Foa, in coda a una bella conversazione di Vittorio con Luigi Locoratolo, Antonio Alosco e Carlo Bensi, che era suo ospite, sugli anni del dopoguerra, il socialismo e i suoi protagonisti che sarà riportata in un libro di Luigi Locoratolo, Locoratolo chiede così, a freddo, a Foa: «Vittorio ma tu di Raniero, dopo tanti anni che pensi?», Vittorio Foa si tolse gli occhiali ci guardò e disse: «Luigi sai ci ho pensato tante volte, ma poi Raniero che voleva: “dare nelle mani degli operai il loro destino”, embè, non ti sembra una bella idea liberale?».

Guida alla lettura

 

1. Raniero Panzieri, Sull’uso socialista dell’inchiesta operaia, in Quaderni Rossi, n. 1, ristampato in La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Nuove Edizioni Operaie, Roma, 1977, p. 315-316.

2. Karl Marx, Il capitale, Libro I, Sez. IV, Einaudi, Torino, 1975.

3. Sandro Mancini, “Due puntualizzazioni sull’interpretazione di Panzieri” in Aut-Aut, Fascicolo speciale su Raniero Panzieri e i «Quaderni Rossi», n. 149-150, settembre-dicembre 1975.

4. Raniero Panzieri, Sull’uso socialista dell’inchiesta operaia, in Raniero Panzieri, La ripresa, cit.

5. Raniero Panzieri, Sull’uso socialista dell’inchiesta operaia, in La ripresa, cit., p. 317-318.

6. La teoria del pansindacalismo ha come referente ideale il sindacalismo rivoluzionario di J. Sorel e alcune varianti operaistiche del pensiero anarchico.  In senso proprio, perciò, si intende per pansindacalismo l'orientamento a contrapporre l'autorganizzazione della classe operaia – con i suoi principi di solidarietà, la sua cultura antagonistica, la sua capacità politica – al vecchio ordine borghese, dominato dallo sfruttamento e dal parassitismo. Questa idealizzazione estremistica della classe lavoratrice si accompagna spesso a un sostanziale rifiuto – o quanto meno a una diffusa diffidenza – per gli istituti della democrazia rappresentativa, che dovrebbero essere sostituiti da forme di autogoverno dei produttori. Il pansindacalismo, mai affermatosi come tendenza dominante nel movimento operaio, è riaffiorato come frazione minoritaria o come suggestione polemica nei grandi momenti di conflittualità sociale nei Paesi industriali. Si può, per esempio, ricondurre al pansindacalismo genericamente inteso il movimento dell'autonomia operaia che ha attraversato il ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo in Italia.

7. Luigi Locoratolo, Un lungo viaggio nel socialismo italiano, Piero Lacaita Editore, Manduria, 2002.

 

Roberta Tomassini, Ideologia, intellettuali, organizzazione, Dedalo libri, Bari, 1977.

Raniero Panzieri, Scritti 1956-1969, Lampugnani Nigri, Editore, Milano, 1973.

Raniero Panzieri, L’alternativa socialista, Einaudi, Torino, 1982.

Stefano Merli, “Appunti sulla formazione di Raniero Panzieri”, in Quaderni Piacentini, Anno XVIII, n. 72-73, ottobre 1979.

Raniero Panzieri, La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Nuove Edizioni Operaie, Roma, 1977.

Aa. Vv., Aut-Aut, Fascicolo speciale Raniero Panzieri e i «Quaderni Rossi», n. 149-150, settembre-dicembre 1973.