Il capitale umano

Piero Cipollone e Paolo Sestito, Il capitale umano,
Il Mulino, 2010, € 9,80.

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Recensione di Giampaolo Romano
Lo scorso marzo è uscito in libreria un volumetto veramente importante intitolato Il capitale umano, gli autori sono due economisti della Banca d’Italia (Piero Cipollone e Paolo Sestito), l’editore è Il Mulino. Il libro è stato pubblicato nella collana Farsi un’idea della casa editrice bolognese, la migliore collocazione possibile per un testo che aiuta ad orientarsi, a capire attraverso analisi rigorose e documentate quali siano le reali condizioni in cui versa il nostro sistema educativo ed a farsi così un’idea di quali possano essere le possibili soluzioni.
Il libro che significativamente i due autori hanno dedicato “ai nostri insegnanti e a quelli dei nostri figli”, avvia la propria analisi partendo dalla necessità di chiarire che cos’è e a cosa serve il capitale umano, proponendo una definizione del capitale umano “come un insieme di conoscenze e competenze, il sapere e il saper fare delle persone” che oggi sono sempre più importanti sia per l’individuo che per la collettività perché – si afferma – “al capitale umano si associa infatti tanto la capacità di produrre beni e servizi quanto la capacità di innovare”.

Il problema è che il nostro sistema educativo, in quanto “fabbrica del capitale umano”, produce scarsa qualità ma molti diplomi tutti rigorosamente dotati di un valore legale poco spendibile su un mercato del lavoro espressione di un sistema economico poco innovativo, basato su piccole imprese, dedito a produzioni in gran parte tradizionali e a basso valore aggiunto.  Come uscirne? Investendo in ricerca, innovazione e sviluppo del capitale umano, solo così è possibile sostenere il cambiamento tecnologico e la crescita sociale ed economica.
È stato merito delle arcinote indagini internazionali PISA (ed anche Pirls e Timss) sulla qualità del livello di apprendimento dei giovani, metterci a confronto con la realtà del drammatico ritardo italiano rispetto alle media dei paesi OCSE, “dovuto alla presenza di molti studenti dalle performance deludenti (specie in lettura e comprensione dei testi), ma anche alla scarsità di quelli dalle performance molto brillanti” che si manifesta con differenze profonde sia a livello delle diverse aree geografiche (al Sud va molto peggio che al Nord), che fra le singole tipologie di scuole (la distanza nei risultati ottenuti tra licei ed istituti tecnici e professionali è semplicemente spaventosa).
Il volume, in sintesi, evidenzia che le problematiche rilevate circa i limitati livelli qualitativi di trasferimento della conoscenza del sistema educativo, sono dovute non tanto al volume delle risorse destinate al sistema stesso, quanto ad un mix di fattori riconducibili ad una ridotta tensione alla qualità, ad una scarsa effettiva autonomia delle scuole ed all’assenza di un efficace e condiviso sistema di valutazione uniforme e standardizzato.
Merito del libro è anche però quello di offrire al lettore risposte, da un punto di vista insolito e documentato, su una serie di interrogativi e paradossi del nostro sistema educativo. Qui di seguito riporto alcune questioni fra quelle che ho ritenuto più interessanti:
  • È certo che sia utile la formazione professionale e la formazione continua degli adulti?
  • Quali possono essere le conseguenze della crescente femminilizzazione della professione docente?
  • Perché in Italia la remunerazione dei laureati è la più bassa d’Europa?
  • Quali sono le conseguenze dei continui spostamenti ogni anno di decine di migliaia di docenti?
  • Perché non sono comparabili e neppure attendibili i risultati ottenuti dagli esami di stato?
  • Cosa significa esattamente valutare l’efficacia del sistema educativo? E come attuare la valutazione? Con quali obiettivi e con quali possibili risultati?
  • Perché dal 2000 al 2005 ben 80.000 laureati meridionali (dati Istat) sono emigrati verso le regioni del Centro Nord?

Concludo con una citazione dal libro che, certamente, deve far riflettere ma anche impensierire: “L’indagine All (Adult and lifeskills) mette in evidenza che la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso, non possiede una competenza alfabetica funzionale adeguata alle esisgenze d’un paese avanzato: l’80% circa degli italiani di età compresa tra i 16 e i 64 anni ha un livello di padronanza della lingua madre giudicato sostanzialmente insufficiente (al di sotto della scala 3 di All)”. (pag. 36)
Il capitale umano è uno di quei rari libri che è necessario leggere per poter capire.
[ pubblicato sul blog dell'autore dispersioni