Sentieri di/versi

Antonio Lombardi, Sentieri di/versi, prefazione di Luigi Caramiello, Napoli 2001, Novus Campus, esaurito.

lombardi cop b

I componimenti che seguono sono stati scritti spesso di getto dal 1989 al 1996 ed oltre: la fase che ha visto la caduta del muro di Berlino, il crollo dell’Urss, l’eccidio di piazza Tien An Men e tanti altri fondamentali episodi che hanno sconvolto il mondo e, in Italia, con tangentopoli, travolto un’intera classe dirigente, determinando la caduta e morte dei partiti e la sconfitta della politica.
Nei testi si riflette evidentemente lo stato d’animo, talvolta anche contraddittorio, generato da questi avvenimenti.

Antonio Lombardi è nato nel 1921 ad Acerra ed è morto a Napoli il 4 marzo 2010.

 

prefazione di Luigi Caramello

 

Quando l’amico carissimo Antonio Lombardi mi fece la cortesia di darmi in lettura le sue Quatto cusarèlle, la prima cosa da cui rimasi colpito fu proprio il titolo che aveva scelto per la sua raccolta intima di componimenti poetici. Ma la lettura delle sue belle liriche e le lunghe conversazioni che in seguito abbiamo amabilmente intrattenuto mi hanno fornito una spiegazione chiara ed inequivoca dei significati che si addensano attorno a quel titolo e dei valori che connotano radicalmente il modo di pensare e di essere dell’autore. In questa raccolta troverete in più punti, in maniera esplicita o implicita, la spiegazione che Lombardi adduce al suo atteggiamento sottotono, essa consisterebbe essenzialmente nell’importanza che l’autore attribuisce generalmente all’umiltà.
Elio Vittorini, nel suo Diario in pubblico, afferma che chiunque si appresta a mettere la penna sulla carta lo fa sempre, in fondo, con lo spirito di chi intraprende l’edificazione del proprio monumento. Lombardi invece sembra voler confutare in radice quest’idea, dichiarando, in vario modo e più volte, la sua insicurezza e la sua indecisione, richiamando a più riprese la consapevolezza della futilità del suo cimento. Sembra voler dire a se stesso e al prossimo: “A chi vuoi che interessino i miei versi?”
E queste domande sembrano trovare per Lombardi la loro legittimazione nell’idea generale della vita e nel significato centrale che in essa assume la categoria dell’umiltà. Mi dispiace dover contraddire su questo punto il mio amico Lombardi, ma la sua scrittura non è umile, e non lo è neppure il suo messaggio. E, del resto, perché dovrebbe esserlo?
Lombardi è certamente un uomo mite, riservato, discreto, e questo understatement si riflette anche certamente nella sua scrittura e la impreziosisce, conferendole un tratto di leggerezza che contribuisce non poco a far scaturire, in vari luoghi del suo poetare, una suggestione nascosta, un elemento di magia, che si manifesta soprattutto in quei momenti nei quali la sua lirica si rivolge alle emozioni, ai sentimenti, ai moti dell’animo e alle nostalgie del cuore. Eppure, dietro quell’apparente insicurezza, dentro quell’umiltà che sempre pare anteporre al suo gesto creativo, si agita la consapevolezza dura di un uomo pienamente ancorato al suo punto di vista e ai suoi valori. E del resto, un uomo come Lombardi, che ha alle sue spalle la sua storia individuale di serietà, di impegno, di dedizione, di passione civile, di coerenza e disinteresse,come potrebbe rinunciare a riproporre, anche nei versi, il significato di questa storia?
Ma non vi aspettate di trovare una tale rivendicazione, presente in forma esplicita, nel suo testo. Essa, se c’è, come io penso, si manifesta solo tra le righe del suo discorso e si rende comprensibile soltanto a chi si dispone a leggere, dentro e oltre le parole, la proposizione più ampia e se si vuole segreta del senso profondo che, nel testo di Lombardi, si attribuisce alle cose. Ma è bene chiarire subito che non c’è da aspettarsi dal poeta la rivelazione di qualche inconfutabile verità. Anzi, se c’è un avversario privilegiato che l’autore sceglie quale interlocutore fantastico (e concreto) nel suo dialogo, questi è proprio il portatore di certezze, il manicheo, l’assolutista, quello che si propone irrealizzabili sogni, da perseguire disseminando il mondo di orrori reali. E qui si insinua nel suo poetare l’indizio dell’autobiografia, il suo racconto di vita. Anche l’autore è stato ammaliato da quelle chimere, anche l’autore ha urlato nella sua giovinezza “ha da venì!”, anch’egli ha ingenuamente suonato il piffero per il per il compimento di un progetto destinato a risolversi in tragedia.
Ma per un vecchio socialista come Lombardi, che ha dedicato la sua vita alla missione politica e sindacale, all’impegno per l’emancipazione dei lavoratori, alla tutela dei più deboli, non è solo il fallimento di una utopìa motivo di lacerazione interiore. Anche la vicenda del riformismo italiano, travolta dal fango degli scandali e della corruzione, umiliata nelle aule dei tribunali la storia di una cultura, di una comunità, di un mondo, sporcata dal discredito, che ha colpito non solo i leaders, ma praticamente l’intera nobile storia di un movimento: anche questo è per il vecchio sindacalista, dopo aver vissuto “na vita quase franciscana” motivo di profondo risentimento. Ed è forse proprio quest’amarezza che condiziona anche la rappresentazione, in cui traspare, francamente ancora qualche pregiudizio, nei confronti dei nuovi leaders e delle nuove formazioni della sinistra italiana.
Ma anche nei momenti in cui il giudizio del vecchio socialista si fa più tagliente non viene meno la sua sostanziale laicità, resa ancora più esplicita dalla dichiarazione di essere pronto a ricredersi. Del resto Lombardi in ogni punto della sua narrazione lirica sfugge alla proposizione del giudizio senza appello, consapevole che nessuno può indossare un bianco velo e emettere sentenze con la presunzione di chi pensa di non poter sbagliare mai.
Del resto il mondo cambia e anche le nostre idee devono fare i conti con la storia e col suo mutamento. E i versi di Lombardi sono intrisi di questa consapevolezza e di questa memoria. I disastri della guerra, la miseria degli anni cinquanta, la fame patita dai poveri, dagli operai, compaiono più volte a comporre un affresco naturalista, non per vezzo letterario, ma perché intriso di esperienza vissuta.
E compare la saggezza rivoluzionaria, perché riformista dell’uomo consapevole, nello stesso tempo, delle ingiustizie che ancora attanagliano il mondo, ma anche delle conquiste di emancipazione che le lotte condotte dagli ultimi hanno conseguito.
Antonio Lombardi è un pezzo di questa storia e scrive la sua autobiografia in versi con l’animo sereno di chi sa di aver fatto la sua parte, di aver compiuto azioni giuste e di aver commesso errori, ma di non essersi mai tirato indietro ogni qualvolta si è trattato di scegliere fra le ragioni degli umili e l’ingiustizia.
E forse è per questo che il suo animo riesce ad aprirsi alla emozione autentica davanti ad una rosellina o a un bicchiere di vino che nella frescura di un giardino flegreo favorisce un riposo pomeridiano che diviene “paraviso ‘nterra” essenzialmente perché è il sonno del giusto.
Un sogno che si rivela ancora quando parla della donna della sua vita e dell’amore verso i figli e i nipoti.
Ed è proprio in queste pagine, forse fra le più sentite della sua raccolta, che Lombardi scopre un altro sé, una individualità nascosta che forse il corso della sua vita, andata come doveva andare, ha ingiustamente compresso.
Del resto la scienza moderna ci dice che l’identità di ognuno di noi è un fascio di anime aggrovigliate che convivono e coesistono, spesso confliggono e talvolta avventurandoci nelle zone più profonde di quella che crediamo essere la nostra identità giungiamo, come attraversando un cunicolo, a un’altra dimensione del nostro essere, e che è proprio salvaguardando questa compresenza di armonia e conflitto, di singolarità e pluralismo, che possiamo (provare a) sentirci liberi.
Antonio Lombardi, con la sua vita, e oggi con la sua poesia, ha tentato di percorrere le strade di una ricerca di senso, testimoniando così la possibilità di un’esistenza degna di essere vissuta.
E vi è senz’altro riuscito.