Per saperne di più. Le origini (vere) dell’Esodo africano.

 

di Marco Masciaga

04.10.2018
 

Nel libro “African Exodus” una serie di elementi preziosi che aiutano a spiegare (meglio di tanti reportage) le ragioni e le implicazioni di un fenomeno che appare ingovernabile. A partire da uno strano cortocircuito economico tra la passata di pomodoro pugliese e i mercati del Ghana...

A poco più di 6 chilometri da Cerignola, in provincia di Foggia, durante la stagione delle raccolta dei pomodori, vivono centinaia di immigrati ghanesi. Sono perlopiù “illegali” che, pur di sfuggire alla miseria del proprio Paese, lavorano orari massacranti per pochi spiccioli, arricchendo proprietari terrieri, caporali e imprenditori specializzati nella produzione di passata. A poco più di 6mila chilometri da Cerignola – nei mercati di Accra – quella stessa passata di pomodoro è in vendita e prezzi stracciati, inferiori persino a quelli della produzione locale, costringendo migliaia di braccianti ghanesi a lasciare il proprio Paese in cerca di fortuna in Europa. Alcuni finiscono proprio a Cerignola, da dove, con la raccolta di altri pomodori danno il loro piccolo contributo a perpetuare (e tingere di grottesco) il processo di impoverimento del Paese in cui sono nati e da cui sono fuggiti.

Una parte del lubrificante che consente a questo meccanismo perverso di funzionare, generando miseria in Africa e sfruttamento in Italia, è fornito, spiega Asfa-Wossen Asserate in un libro intitolato African Exodus – Migration and the future of Europe (Haus Publishing; 14,99 sterline), dalla Ue e dai suoi generosi sussidi all’agricoltura. Se la cosa finisse qui, ci troveremmo davanti a un esempio – l’ennesimo – di un gruppo di Paesi ricchi i cui leader, per ragioni di consenso elettorale, distorcono le dinamiche che dovrebbero governare i mercati a discapito degli abitanti di Paesi infinitamente più poveri. Ma siccome la globalizzazione è un fenomeno che coinvolge non solo i prodotti, ma anche le persone (e le paure, più o meno razionali, che suscitano) non è possibile non riflettere su come i fenomeni migratori incontrollati a cui contribuiscono questa e altre forme di concorrenza sleale (i sussidi ai produttori di latte e gli sconfinamenti nei mari africani dei pescherecci europei sono altri esempi) abbiano giocato un ruolo cruciale nel successo dei movimenti populisti che stanno dando l’assalto ai valori delle liberaldemocrazie incarnati proprio nel progetto dell’Unione europea.

Il racconto del cortocircuito tra Puglia e Ghana è solo uno dei motivi che rendono interessante il libro di Asserate. Gli altri hanno a che fare – paradossalmente – con il suo limite maggiore, ovvero la sua povertà sul fronte del reporting. L’autore (un membro della famiglia imperiale etiope divenuto un richiedente asilo in Germania dopo la deposizione di Haile Selassie e l’esecuzione del padre nel 1974) non si sofferma più di tanto sull’orrore delle migrazioni africane, da chi muore di sete nei deserti del Niger e chi affoga nelle acque del Mediterraneo. Forse perché si tratta di un terreno già battuto dai giornali, forse perché la sua formazione (accademico, analista politico, consulente specializzato in Africa e Medio Oriente) è di un altro tipo. Il risultato è che la scarsa attenzione per l’Exodus del titolo si traduce nel grande spazio dedicato al contesto, sia storico che economico. Una serie di elementi preziosi che aiutano a spiegare, meglio di tanti reportage, le ragioni e le implicazioni di un processo che oltre a generare disperazione su una scala difficilmente immaginabile, rischia di incrinare alcuni dei pilastri su cui poggia il nostro vivere civile.

Oltre alla già citata questione delle distorsioni introdotte dalle politiche agricole dell’Unione europea, Asserate si dilunga anche sulle ragioni della cattiva governance di tanti Paesi africani, un excursus attraverso gli orrori del colonialismo, gli errori della decolonizzazione e il cinico sostegno – giunto da Est come da Ovest, durante e dopo la Guerra fredda – a “partner” sanguinari come Muammar Gheddafi. Un’occasione interessante per fare un veloce ripasso dei rapporti malsani tra l’Africa e il resto del mondo. Una disamina storica colpevolmente assente da ciò che, forse assordati dalla cacofonia isterica del dibattito sull’immigrazione, oggi pensiamo e diciamo dell’Africa. Una galleria degli orrori in cui non mancano lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, lo schiavismo, le mutilazioni punitive, il potere di vita e di morte sulle popolazioni locali. Fino a culminare nella figura di re Leopoldo II del Belgio che dalla Conferenza di Berlino (1884-5) fino al 1908 fu il padrone – non in quanto rappresentante di un Paese colonizzatore, ma in veste di privato cittadino – del cosiddetto Congo Free State. In meno di un quarto di secolo Leopoldo II guadagnò 1,1 miliardi di dollari e 10 milioni di congolesi persero la vita.

Più di un secolo dopo, nella Repubblica Democratica del Congo e in altri Paesi africani porzioni sempre più grandi di terreni agricoli passano in mano a investitori privati stranieri a prezzi che oscillano tra un 40esimo e un 80esimo di quello che costerebbero in Europa. Il successivo processo di industrializzazione dell’agricoltura solo nell’8% dei casi coinvolge frutta e verdura per il consumo umano. Il più delle volte – racconta Asserate – la terra viene usata per altri scopi, come accade nella regione di Gambela, la più fertile dell’Etiopia, dove ogni anno, per stipendi di circa 1 euro al giorno, bambini con meno di 10 anni recidono 2,5 miliardi di rose destinate a rendere più belle e profumate le nostre case.